La ricerca di biocarburanti davvero sostenibili può aumentare la quota delle energie rinnovabili se includerà anche il settore trasporti.

Da dove nasce l’idea e cosa sono i Biocarburanti di 3^ generazione?

I biocarburanti di prima generazione, quelli per intenderci prodotti da colture agricole come mais, soia, palma o colza (vedi qui) nonostante inizialmente, e anche oggi, incentivati e sviluppati in tantissimi Paesi (anche in Italia), ponevano dei grossi problemi etici ed economici:

  • necessità di grandi estensioni da coltivare e “caccia alla ricerca degli ettari disponibili” dei Paesi sviluppati nei Paesi in via di sviluppo (Land Grabbing);
  • possibile aumento dei prezzi dei generi alimentari; ingenti quantità richieste di fertilizzanti e acqua e risparmio effettivo di CO2 rispetto ai carburanti fossili non sempre scontato

La ricerca tecnologica ha portato alla nascita di altri tipi di biocarburanti, di “seconda generazione”, trattati in questo post, prodotti da scarti dell’industria agricola non destinati a prodotti alimentari: benzina da paglia o da scorza della canna da zucchero.

Risolti i problemi etici e il trade off “food vs Energy”, l’unico ostacolo è stato, ed è tutt’oggi il costo di produzione, anche se in futuro le previsioni sembrano ottimistiche.

La 3^ generazione nasce invece da una sfida interessante: le alghe micro cellulari. Coltivate in grandi vasche infatti, tramite tradizionale fotosintesi, riescono a catturare CO2 e luce trasformandole in grassi e oli con una peculiarità rispetto ai biocarburanti tradizionali: per ogni ettaro di terreno utilizzato producono da 50 a 100 volte la quantità di biodiesel prodotta invece da una piantagione di colza (la più utilizzata oggi in Europa).

Ma i vantaggi delle microalghe rispetto alle piantagioni di terra non si fermano qui secondo l’ENEA in uno studio recentissimo (Feb 2013):

  • crescono velocemente e, potenzialmente, tutto l’anno;
  • possono essere coltivate su terreni marginali o desertici;
  • hanno bisogno di molta meno acqua per kg di biomassa prodotta rispetto alle colture terrestri;
  • molti ceppi possono essere coltivati in acque saline o salmastre;
  • sono in grado di sequestrare la CO2 dai gas di combustione di impianti industriali;
  • alcuni ceppi accumulano grandi quantità (30-40% sul peso secco) di trigliceridi, adatti per la produzione di biodiesel, mentre altri accumulano amido, adatto per la produzione di bioetanolo;
  • non richiedono l’applicazione di erbicidi o pesticidi; alcuni ceppi possono essere utilizzati per scopi di biorisanamento.

Visto l’enorme potenziale, negli ultimi anni sono nate tantissime start-up, sono stati investiti milioni di $ in Ricerca e Sviluppo, soprattutto dalle grandi compagnie petrolifere.

Oggi, nonostante la tecnologia si conosca da circa 10 anni, ancora non viene prodotto biocarburante da alghe a livello commerciale, esistono solo dei progetti pilota.

Rimangono principalmente due grossi punti di domanda: uno ambientale, ovvero quanta CO2 si riesce a risparmiare rispetto ai carburanti fossili nell’intero ciclo di vita? Uno economico, quanto costa produrre 1 litro di biodiesel da alghe?

Il tema della sostenibilità del biodiesel alghe è stato sollevato in diversi paper scientifici: l’uso di fertilizzanti chimici per una più rapida crescita, di elettricità e calore per le fasi di crescita, raccolta, asciugatura e concentrazione, pongono dei dubbi sull’impatto ambientale di tale tecnologia.

In una pubblicazione del 2010 la International Energy Agency (IEA) stimava che tramite il biodiesel da alghe si potrebbe avere un risparmio del 50% nelle emissioni di CO2 rispetto al diesel tradizionale.

L’anno successivo lo stesso centro di ricerche, tende invece a sottolineare che le caratteristiche dei singoli siti di produzione (luce, clima, tenore di CO2 nell’aria, disponibilità di acqua) e l’assenza di una reale produzione su larga scala rendono qualsiasi analisi globale molto incerta.

Per quanto riguarda i costi di produzione dell’alga biodiesel, dallo stesso report di cui sopra, nel 2011 variavano da 1 a 6 € al litro, contro i 70 cents del prezzo di produzione del diesel tradizionale in Italia; in futuro i costi si pensa si abbasseranno fino a raggiungere i 20 cents / litro e già entro il 2015 si potrebbero vedere le prime produzioni su larga scala.

Concludendo, le potenzialità inerenti alle alghe per biodiesel sono davvero interessanti, si stanno studiando nuove tecnologie, nuovi tipi di alghe e la ricerca va avanti. A testimonianza di ciò la Exxon (in Europa ESSO), la più grande compagnia petrolifera mondiale ha dichiarato di voler proseguire nella ricerca, dopo i 100 milioni di $ spesi negli ultimi 4 anni.

Se le nostre auto fra qualche anno non andranno più “ad organismi decomposti in milioni di anni” (petrolio), né  “a mais” come oggi in Brasile (etanolo) ma “ad alghe” non ci sarà dunque da meravigliarsi!