L’espansione di Facebook non è certo un evento degli ultimi mesi, ma una progressione impressionante cominciata nel 2004 ad Harvard per opera di Mark Zuckenberg. (cui è dedicato il gruppo su Facebook dal titolo più geniale, “Zuck you, Fuckenberg!”).

Se un non-anglosassone che ha finito l’università più di 15 anni fa si iscrive, allora una cosa è chiara: Facebook non è più un’esclusiva community per studenti universitari inglesi o americani, ma un fenomeno destinato a diventare realmente globale.

Dal 2004 al 2007 questa comunità ha conquistato tutte le università dei Paesi di lingua inglese, cominciando ultimamente ad apparire in maniera sempre più consistente nel resto del mondo, per un totale di 34 milioni di utenti. Nata come comunità per gli studenti di Harvard sulla falsariga degli annuari fotografici tipici delle università americane (quei libri pieni di foto e nomi pubblicati alla fine dell’anno scolastico o accademico e che spesso vediamo nei film), Facebook si è rapidamente espanso “contagiando” le altre università americane. In pochi anni, studenti di tutti gli Stati Uniti si sono ritrovati iscritti in questa community online e, con una diffusione da epidemia, Facebook è rapidamente sbarcata in Europa.

Per chiari motivi culturali, il primo Paese ad essere invaso da questa comunità è stato il Regno Unito. Il meccanismo è semplice: lo studente europeo che va negli Stati Uniti per uno scambio, un master, un dottorato ecc. torna in patria iscritto a questo nuovo fenomeno. Da lì, il focolaio della facebookite si diffonde e attecchisce più o meno rapidamente.

Negli ultimi mesi, ho avuto il privilegio scientifico di assistere a questa situazione anche in Italia: col normale ritardo rispetto ad un Paese come l’Inghilterra, ho visto a poco a poco studenti della Bocconi e della Luiss (le università con più scambi e contatti con Stati Uniti e Gran Bretagna) costituire i loro primi gruppetti online. In pochi mesi, anche persone che non avevano nulla a che fare con queste due università si sono ritrovate su Facebook. Resta da chiarire cosa sia questo morbo internettiano per quei lettori che siano riusciti finora ad evitarlo.

Come già detto, Facebook ricalca i meccanismi di un annuario fotografico: appena iscritto, l’utente ottiene una sua pagina da personalizzare con i consueti orpelli, ovvero foto, luogo e data di nascita, email, orientamento politico, confessione religiosa, cosa si cerca all’interno della community (amicizia, amore o cazzeggio?).

In più, la pagina personale permette agli iscritti di aggiungere una serie di caratterizzazioni tipiche dello studente universitario pretenzioso ed intellettualoide: film e libri preferiti, citazioni amate, descrizione di se stesso. Insomma, il trionfo dell’individuo nella sua unicità o, se si preferisce, l’affermazione del narcisismo da studente. Ogni pagina personale ha un suo muro (wall) su cui ogni utente che figura come amico può lasciare commenti, messaggi e così via.

Anche qui, la comunicazione si intreccia col narcisismo: il messaggio non è privato (c’è anche quello, ma chissà come mai gli universitari non lo usano molto), chiunque può leggerlo e questo spinge generalmente l’iscritto medio a lanciarsi in acrobazie linguistico-umoristiche per lasciare il segno. Un altro strumento che ricopre approssimativamente la stessa funzione è il messaggio relativo al proprio status: una breve frase che è possibile aggiornare in ogni momento, che appare nella pagina iniziale di Facebook e in cima alla propria pagina personale e in cui il membro della community mette in risalto il proprio umore o la propria situazione o lascia ai propri seguaci qualche battuta fulminea.

Anche qui l’Ego degli utenti splende su tutto. Facebook, in poche parole, ricalca in pieno i meccanismi della comunità che cerca di inglobare. In questo caso, il gruppo sociale degli studenti universitari ha la possibilità di incontrarsi nuovamente nel mondo virtuale. Ognuno ha la possibilità di fare apparire in modo nuovo e più efficace la propria personalità, la propria unicità – appagando il desiderio recondito di ogni studente, quello di emergere e comunicare al mondo quali sono le proprie preferenze in fatto di letteratura, arte, cinema, sport.

Altro strumento fondamentale sono i groups. I gruppi di Facebook permettono ad ogni iscritto di incontrarsi con i propri simili su ogni argomento esistente sulla faccia della Terra. Sei appassionato di cinema polacco? Troverai un gruppo in cui altri 10 fissati condividono la tua passione segreta. Ami il Nicaragua? Tifi per il Messina? Sei di origini valdostane? Odi o adori Bush? Qualsiasi idea o passione, anche la più derisa e di nicchia, trova sfogo in un gruppo a cui ognuno può iscriversi e dove si può dibattere, caricare foto o video e invitare i propri amici ad unirsi.

Per la cronaca, i gruppi cui sei affiliato appaiono nella propria pagina personale e nella homepage tua e dei tuoi amici membri di Facebook. Chiaramente, nulla passa inosservato in questa community. A parte poche eccezioni (messaggi privati e poking – un modo per attirare l’attenzione di uno dei membri della comunità a tua scelta, senza altri fini), tutto quello che avviene su Facebook è pubblico.

Se carichi delle foto sul tuo profilo, quelle saranno accessibili a tutti i tuoi amici, senza possibilità di esclusione. Se regali un orsetto di peluche o un mazzo di rose virtuale alla donna di cui sei innamorato, questo apparirà sulla sua pagina personale; se aggiungi una application sul tuo profilo (ce ne sono di tutti i tipi: dai test di natura politica ai Paesi visitati nel mondo alla squadra del cuore), tutti potranno accedervi. Ma non è tutto: cosa succede se un tuo professore si iscrive a Facebook proprio per monitorare le attività dei propri alunni fuori dall’aula? Negli Stati Uniti ci sono state sanzioni disciplinari interne ad un’università comminate sulla base di foto trovate proprio su Facebook.

E ancora: è noto che alcuni datori di lavoro americani sono iscritti per poter studiare i propri potenziali impiegati freschi di università ed eventualmente premunirsi. Considerando che molti studenti sbandierano ai quattro venti le proprie opinioni politiche e religiose e mettono a disposizione di tutti foto in cui sono seminudi o totalmente ubriachi, è facile intuire quale rischio si annidi per la privacy di ognuno.

Insomma, il trionfo dell’egocentrismo studentesco può portare grazie a Facebook a risultati imprevedibili, in cui una sbornia al pub preclude un futuro professionale. Resta da capire come evolverà questa community nei prossimi anni, con l’ingresso di migliaia di iscritti non riconducibili al mondo accademico (e con l’entrata di tanti ex studenti nel mondo del lavoro). Potrà Facebook sopravvivere alla propria ragion d’essere e diventare trasversale al proprio gruppo sociale d’origine?