L’ambito familiare (nucleo molto complesso), associato alle relazioni interpersonali  all’interno dell’ambiente in cui ci si sviluppa, sono elementi fondamentali capaci di forgiare durevolmente l’individuo, conferendogli doti, debolezze, aspirazioni, e preparando in modo irreversibile i suoi successi e i suoi fallimenti. Anche per Freud, uomo, capitò così.

Sigmund aveva un nipote di appena un anno più grande di lui di nome John. John è stato una figura di riferimento di grande importanza durante la sua infanzia, un amico inseparabile e “compagno di misfatti”, ai quali per la prima volta Freud interpose momenti di carica emotiva erotica, nella coesione compatta con il suo amichetto di giochi.

«Talvolta i due bambini, […] rivolgevano la loro aggressività uno contro l’altro. […] Un giorno il padre gli chiese perché avesse picchiato John, e Freud, più chiaro nelle idee che nella parola, condusse abilmente la propria difesa dicendo: l’ho picchiato perché lui ha picchiato me» (Gay P., op. cit., p. 5).

Con suo nipote aveva un rapporto ambivalente in cui si alternavano momenti di gioia, di amore e di odio; una figura di partenza da cui Freud svilupperà emozioni e sentimenti verso tutti gli altri suoi coetanei.

L’amico-nemico era diventato ormai “la fonte di ogni amicizia e di ogni odio”, una figura importante che trasformò le sensazioni del piccolo Sigmund, in angoscia e ansia, quando ben presto dovette lasciare il suo compagno vedendolo partire per Londra con la famiglia. Tutto ciò instaurò nell’animo di Freud un vuoto insostituibile.

Con la nascita della sorellina Anna, nella mente di Freud sorsero altri dilemmi esistenziali da risolvere… Trovò la risposta ammettendo che la sorella era uscita dal corpo della madre, ma ciò che rimaneva ancora oscuro al pensiero del piccolo Freud  era il grande dramma, il grande scandalo dell’umanità, l’Edipo.

Il rapporto con il padre Jakob fu altrettanto intricato e ambivalente, importante anch’esso per una visione così teoricamente strutturata della sua teoria.

Un sabato Jakob stava passeggiando per Freiberg, era ben vestito e portava un berretto di pelliccia nuovo. Svoltando il marciapiede si trovò improvvisamente davanti un uomo. La situazione era imbarazzante: i marciapiedi, a quei tempi, erano spesso uno stretto camminamento, tanto per evitare la superficie fangosa della strada; Jakob accennò a un nuovo passo, ma con timidezza, perché non ne voleva fare una questione di principio.

L’invasore fu più veloce, animato da una certezza di superiorità, gli buttò il berretto nel fango ordinando al povero ebreo di scendere dal marciapiede. Raccontando l’episodio al figlio, Jakob a questo punto si fermò. Il piccolo Sigmund incalzava, perché per lui proprio qui veniva la parte più interessante:

«E tu, cos’hai fatto? Con calma, il padre rispose: Sono sceso dal marciapiede e ho raccolto il berretto» (Freud S., 1900 p. 280).

Jones, il principale biografo di Sigmund Freud, affermò che il fatto fu tra i tanti uno di quelli più impattanti nel costituire il carattere e la sua personalità; la mancanza di eroismo dell’uomo che era stato per lui il modello assoluto, scese come un pesante martello sulla sua mente, decidendo drasticamente il suo futuro: forse senza quest’episodio la psicoanalisi sarebbe potuta essere diversa, Freud non avrebbe di certo considerato il figlio, come inevitabile rivale del padre.

La risposta di Freud fu netta: tutto questo non gli sembrò eroico. Le basi teoriche del rapporto tra padre e figlio coincidevano così con la sua visione dell’anti-semitismo, dell’incapacità degli ebrei di sovrastare i loro vincitori per antonomasia; in risposta a tutto questo univa la voglia di primeggiare, riscattarsi e diventare l’ “eroe”, quello che suo padre, da ebreo, non era stato capace di essere.In questo modo, nell’infanzia di Sigmund, in relazione al rapporto con Jakob, si era creato una sopravvalutazione del padre (da lui chiamato “romanzo familiare”) e subito dopo una concreta sottovalutazione: suo padre non era un dio, né un eroe.

Freud giurò a se stesso che non sarebbe mai stato remissivo; Annibale (il semita che osò sfidare Roma), divenne il suo eroe preferito: la guerra contro i romani rappresentava la lotta dell’ebreo contro i cattolici antisemiti… in una battaglia individuale contro l’emarginazione, nell’affermazione di se stesso e delle sue doti intellettuali, quelle che lo accompagneranno lungo tutta la sua carriera scientifica.

Un’altra figura importante, che segnò l’infanzia di Freud, fu la sua bambinaia, una fervente cattolica romana che lo accudì fino all’età di due anni e mezzo. Dopo essere stata sorpresa a rubare in casa Freud, fu fatta arrestare dal fratellastro Philipp e finì in prigione per dieci mesi. Freud era molto attaccato alla bambinaia tanto da affermare successivamente, che essa le aveva insegnato qualcosa di più, lasciando intendere che ella gli fornì insegnamenti in materia sessuale…

Il suo amore per lei fu brutalmente troncato dall’accaduto inaspettato, che lasciò un profonda insicurezza nell’animo di Freud, segno della dicotomia che la famiglia stessa instaurò, allontanando la sua bambinaia preferita, che (paradossalmente) tanto lo amava. Tutto coincise con la temporanea assenza della madre dovuta al parto della futura sorellina di Sigmund.

Questa situazione, mancante di affetto e di punri di riferimento materni, fu la conseguenza delle sue più grandi paure: l’ansia di morte e l’angoscia dell’abbandono. Freud ricorda di aver cercato disperatamente la madre urlando disperatamente, convinse così suo fratello Philipp ad aprirgli un armadio – in tedesco Kasten – mostrandogli che sua mamma non era rinchiusa li dentro …

Il fatto non servì a far tranquillizzare il piccolo Sigmund, esso si calmò solo quando vide la madre riapparire dalla porta di casa. Freud troverà la risposta al perché il fratello gli aveva mostrato un armadio, solamente intorno al 1897 nel pieno della sua autoanalisi:

«quando aveva chiesto al fratello Philipp dov’era finita la bambinaia, Philipp gli aveva risposto che era eingekastelt – inscatolata, un’allusione scherzosa al fatto che era finita in prigione. Evidentemente Freud aveva temuto che anche la madre fosse stata inscatolata» (Gay P., op. cit., p. 6).

Freud parla inoltre del fratello più piccolo, in riferimento alle fasi dello sviluppo della propria crescita emotiva, attraverso una fervente corrispondenza che aveva con il suo amico Wilhelm  Fliess, un noto medico di Berlino considerato per Freud un suo alter, l’ ”altro” di Berlino.

Julius, morto prematuramente, rimase in vita solamente 8 anni; in una lettera scritta al suo “compagno di pensiero” Wilhelm Fliess del 1897 disse che aveva accolto suo fratello più piccolo con invidia e reale gelosia infantile e che la sua morte aveva lasciato in lui “il germe del rimorso”. Ricordiamo per l’appunto quanto l’influenza del suo compagno di carteggio abbia toccato la psicanalisi:

«Fliess teorizzò ad esempio il periodo di latenza, che in seguito entrò a far parte della teoria psicanalitica. […] Inoltre Fliess aveva fatto una scoperta biologica, a mio parere fondamentale, concernente il ruolo della periodicità (ventotto giorni per le donne, ventitré per gli uomini) nella vita umana» (cit. in Roazen P., op. cit., p. 78).

La scoperta di tale legge presupponeva la durata massima della vita di ciascun individuo secondo canoni numerici, causa anch’essa di un’attiva battaglia ragionata nella mente di Freud che continuava a girare attorno a questi calcoli complessi.

Per quanto riguarda la madre, esso ammette che la sua figura sia più misteriosa di quella del padre Jakob; Amalie Freud era una donna abbastanza materna, ebbe otto parti in dieci anni, ma Sigmund si sentì costantemente privilegiato rispetto a tutti gli altri fratelli.

In questo suo sentore Freud trovava un grande appoggio morale, come nelle sue origini ebraiche:

«Ho notato che le persone le quali sanno di essere predilette o preferite dalla loro madre, dimostrano nella vita quella particolare sicurezza in se stesse, quell’incontrollabile ottimismo, che non di rado appaiono eroici e spingono al successo reale» (cit. in Roazen P., op. cit., p. 67).

Freud afferma inoltre che tra tutte le relazioni, quella tra madre e figlio maschio è una delle più perfette, e che in suo figlio, la madre può trasferire le ambizioni che non ha avuto su di essa; il figlio riesce indirettamente a realizzare le ambizioni della madre. Paul Roazen nel suo scritto del 1975 Freud e i suoi seguaci, teorizza che la convinzione di Freud di essere stato il favorito della madre, sarebbe stato un modo per sopperire ai sentimenti positivi verso il padre Jakob, un autoinganno.

Per Freud, poteva essere più semplice rivelare i suoi più profondi impulsi segreti, che riconoscere i propri sentimenti conflittuali nei confronti della madre e il suo legame di indipendenza con essa.

Freud era ossessionato da un’idea piuttosto “curativa” (per molti), incentrata su una nuova visione del padre. Freud auspicava di crescere come un grande uomo, senza un padre, ispirandosi a Edipo, Mosè e  Leonardo che crebbero senza un padre naturale. Era affascinato dall’idea di vedere il ruolo di “padre” in chi tramandava eredità e insegnamento, una figura quindi altrettanto significativa, che andava a sostituire quella per antonomasia del padre biologico.

Probabilmente Freud ebbe un rapporto conflittuale, attenendosi alla sua teoria del complesso edipico, con chiunque avesse varcato la stanza da letto di sua madre; a questo proposito Freud infatti elimina, dal centro della sua crescita (e di quella di “molti altri” attraverso le sue teorie) la figura paterna. Non vi è sempre un grande padre dietro un grande uomo.Di fatto Freud, non accettava comunque di essere legato quasi “morbosamente” alla madre, di avere con lei un forte legame amoroso, edipico, di indipendenza e affetto.

Amalie Freud era una donna armata di quella sana grinta nell’affrontare le situazioni, propria dell’atteggiamento “dell’ascesa sociale della donna moderna”; riusciva ad evere in tutte le situazioni uno spirito determinato e ironicamente vivace con motti di spirito frequentissimi. Una donna carica di energia e charme, autosufficiente e ammaliatrice, ricca di doti che ricordano la madre di Edipo, alla quale esso si invaghì; una carica positiva e ambivalente per Freud, ma permeante e radicata nel suo animo.

Si riscontrò, ad esempio, nelle sedute di analisi con i suoi pazienti, una difficoltà di accettare in se stesso il lato femminile e materno:

«benché l’attività psicoterapeutica contenga inevitabilmente un nucleo materno, Freud, nell’esercizio dell’analisi, tendeva a minimizzare l’importanza di questo elemento. […] Ogni relazione umana profonda comporta il pericolo di venire sommersi: il legame madre-figlio non ha solo un risvolto unilateralmente glorioso come Freud avrebbe voluto farci credere» (Roazen P., op. cit., p. 68).

Queste contraddizioni in termini e i tentativi di nobilitare qualcosa che evidentemente rimaneva scomodo e inconoscibile nella sua mente, possono farci luce sulle sue dinamiche inconsce, sul modo di vedere il mondo e di vivere le sue teorie, ispirate senza dubbio al riflesso della sua personalità e dei suoi conflitti di vita.

Sono molte le lettere scritte al suo amico Fliess che riguardano i rapporti con la madre e in special modo, l’Edipo: nella lettera 141 del 3 ottobre 1897 scrisse che la sua “iniziatrice” fu una donna brutta, vecchia e astuta (accennando alla bambinaia), la quale gli parlò molto di Dio e dell’Inferno, elogiandolo e dandogli un’alta opinione delle sue capacità; all’età di due anni e mezzo scrisse di essersi svegliata in lui la libido verso la “matrem”: durante un viaggio che fecero da Lipsia a Vienna dormirono assieme, Freud accenna al ricordo di averla sicuramente vista “nudam”; specificò che l’uso del latino sarebbe servito per alleggerire e addolcire i temini.

Bibliografia:GAY, P. (1988). Freud una vita per i nostri tempi. (trad. it.) Milano: Bompiani (ed. or.: Freud a life for our time. New York-London: W.W. Norton & Company, 1988).

FREUD S. (1900). L’interpretazione dei sogni. (trad. it.) Roma: Newton Compton editori. (ed. or.: Die Traumdeutung. Vienna: Franz Deutcke, 1900).

ROAZEN P. (1975) Freud e i suoi seguaci. (trad. it.) Torino: Giulio Einaudi (ed. or.: Freud and His Followers. New York: Alfred A. Knopf, 1975).